Editoriali
Morire due volte
MEDICAL TEAM MAGAZINE Anno 2 - Numero 2 - mar/apr 2003
Un ospedale, una corsia di un Reparto Oncologico, tanti camici bianchi, una suora, un carrello spinto nel corridoio che ogni tanto scompare nelle stanze. Un malato ti guarda negli occhi. Vuole sapere da te qualcosa di più: il decorso della sua malattia, l’esito della terapia, le sue aspettative di vita. Tu non ti soffermi nemmeno a parlarci. Guardi la cartella. Non un sorriso, una carezza... ma una TAC, una radiografia, una biopsia. Non è la persona che ti preoccupa, ma le tue aspettative cliniche. Qualcosa non va, il tumore non risponde alla cura. Ti guardi intorno, parli con i colleghi. Il tuo sguardo è sempre lontano dal malato che vorrebbe comprendere il tuo messaggio. Sai che poche sono le speranze. Il carrello si sposta al letto successivo. La visita è finita. Trascorrerà un altro giorno, un’altra notte con i suoi pensieri, la tristezza per la morte del vicino diletto, il dubbio della sua malattia. Il malato è un individuo, a cui la malattia ha tolto la sua integrità e giunge a te non solo con i suoi organi vitali, ma con il suo passato, le paure, le grandi o piccole esperienze di sofferenza, la sua fragilità.
Dobbiamo accoglierlo nella nostra casa per nutrirgli la speranza, lenire il suo dolore, moderare le sue preoccupazioni perché con la nostra comprensione e amicizia e scoprendo il suo mondo interiore possiamo migliorare le sue risposte alla nostra scelta terapeutica. Non è solo il suo fegato, linfonodo, pancreas, o il suo organo vitale leso che devono essere importanti, ma la sua intera persona perché la sua risposta alle cure migliorerà se apriremo i canali dell’amore facendolo sentire coccolato. Dobbiamo essere vicini al mondo che il malato ci affida per non commettere il rischio che possa morire due volte.
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